Mio padre ed io abbiamo una disputa aperta da anni : lo spalare la neve.
La situazione rende necessario un breve racconto, benché io non voglia continuare a parlare di lui; in clima elettorale poi, diventa ancora più importante capire i vari schieramenti.
Lui sta alla neve, come Salvini agli extracomunitari (e qui c’è pure scappato un ossimoro…)
Non accetta che questa precipitazione atmosferica vada a posarsi nel suo giardino e resti lì senza fare niente. Pretendendo pure di congelarsi.
Ieri, vittima del Big Snow, ha affrontato la battaglia come Rambo affronterebbe i Pigmei dell’Africa equatoriale.
Dunque, partiamo con lo spiegare che casa sua è su due piani, dove il piano terra è preceduto da un ampio piazzale e il primo piano da un mega terrazzo.
La mattina appena sveglio, dopo aver appreso dell’invasione notturna di questa carovana di neve, vestito di tutto punto, con pantaloni mimetici ed impermeabili, pile cinese che ha la doppia utilità di fare luce con le scintille da sfregamento e rischiarare le zone in ombra, giacca sponsor di qualche ditta e capello in paglia del Raggio di Sole si è guardato allo specchio, con la matita per occhi di mia madre si è disegnato due linee nere orizzontali sulle guance e ha esclamato: “La durezza di questi tempi non ci deve far perdere la tenerezza dei nostri cuori”. Ha alzato il pugno al cielo e ha urlato :”Hasta siempre, Comandante”.
Non ho specificato le calzature da lui indossate per il semplice fatto che su quelle abbiamo avuto dei problemi.
Se la battaglia con la neve si fosse svolta solo nel cortile esterno, tutto sarebbe filato liscio, invece, causa le diversità di fondo, siamo dovuti passare dalle ciabatte agli stivali corazzati militari.
Per andare sul terrazzo si deve prima salire la scala interna e poi attraversare la sala padronale, quella che quando entri vedi i brillantini scintillare ovunque, dove Mastro Lindo seduto sul divano dice: “io qui non ho un cavolo da fare”.
Un salone scintillante alla Rosa e Olindo.
Pure gli acari quando tentano di entrare, indossano dei graziosissimi copri zampe.
Quando vado io, alle volte chiedo a mia madre se anche loro si lavano, lavano i panni, asciugano e stirano, perché non dico il disordine campale di casa mia, ma una minkia di mutanda piegata e lasciata in giro, volete lasciarcela qualche volta? Tanto da far capire alle persone che siete umani…
Ok, torniamo alla nostra battaglia.
Mio padre afferra la pala e in stivali di gomma inizia a spalare il piazzale, badilando con tanta foga che alle volte non si rende conto che insieme alla neve, scardina anche lastre di cemento e tombini e li lancia con noncuranza nella montagna che si va via via accumulando di lato.
Poi di corsa, toglie gli stivali, infila le ciabatte e sale sul terrazzo e stavolta armato di scopa chiodata, spazza tutta la neve di sotto, poi guarda giù, maledice la fretta e ridiscende, toglie le ciabatte e riinfila gli stivali per rispalare la neve dal piazzale che prima era sul terrazzo.
La neve stavolta però non gli dà tregua e continua a scendere copiosa e imperterrita, nonostante la sua battaglia personale.
Il fatto di mettere e togliere stivali e ciabatte lo butta un po’ in confusione, così decide di indossare sul piede destro una ciabatta e sul sinistro lo stivale e lavorare su una gamba sola, in base al piano.
In una mano tiene la pala, nell’altra la scopa chiodata e se ne avesse una terza, riuscirebbe anche a buttare al tappeto Chuck Norris oppure a battere il tappeto con Chuck Norris.
La mattina vola così, tra un sali e scendi generale, mentre per la neve è un scendi e basta.
Poi finalmente una tregua del generale inverno.
E lui è tutto soddisfatto, piazzale e terrazze intonse, pulite come fosse il 15 d’agosto.
Passa per caso davanti a casa mia, oppure lo fa sembrare un caso, mi guarda sornione e mi dice di aver mal di schiena per la neve spalata.
Io lo guardo dall’alto del mio cortiletto, pieno zeppo di neve, mentre fumo una sigaretta e rimiro il candido paesaggio.
A lui spetta un meritato riposo pomeridiano, una frugale cena e poi a nanna, per riposare le stanche membra.
Non diteglielo, perché lui stamattina è partito presto per una commissione e non è ancora rientrato, ma pure oggi è nevicato un botto e quando rientrerà si ritroverà la casa…uguale identica a come sarebbe stata ieri, se invece di spalare fosse andato al bar a giocare a carte.
D’altronde, un mio vecchio parente mi diceva sempre: “ci sono 3 lavori inutili da fare al mondo: ammazzare la gente, raccogliere le noci e …spalare la neve.
E anche stavolta…mi tocca aver ragione! 😜
Diario di una mamma di campagna
venerdì 2 marzo 2018
sabato 16 dicembre 2017
La suddivisione del pollo
Quando uno pensa al destino non si può trascendere da tutti i vari pezzi di puzzle che la vita ci mette davanti per interpretarlo ed uno dei più importanti è il puzzle del pollo. Tanto importante da studiarne un teorema.
Nella mia famiglia la gallina in brodo è un must have che preclude a giornate di inverno, raffreddori, cene affettuose, madonne perché ci si scotta la bocca o sacramenti perché si sporca la tovaglia.
In gergo più international, si può definire “confortable food”.
Quando siamo a cena dalla mia Cracco-mamma e questa ci sforna questo popò di pentola tegumentaria, con le dimensioni di un silos, abbiamo già la mente che pregusta il dorato liquido ambrosio e le dita che spolpano una tenera carne con l’eterno dilemma : “ma la pelle la mangio o no?”
Dunque, regola imparata dalla nonna: se il pollo è casalingo, si mangia tutto, se è da supermercato, no!
Questo rituale evoca un susseguirsi di azioni già scritte, già consolidate, un po’ come le donne in tanga che accompagnano i calendari delle ditte di gomme per moto.
Si inizia con il primo piatto di lasagne in brodo, uguale per tutti, seguito da un bis che cambia formazione in base ai commensali.
Per mio padre, mia madre e me il secondo piatto di lasagne diventa il “surbì”, ossia minestra con poco brodo e un mezzo bicchiere di vino versato sopra; ma pure il vino, come la gallina, deve essere rigorosamente nostrano.
Per le mie figlie è senza brodo, solo pasta.
Per mia sorella diventa più difficoltoso perché lei ha questa mania di mangiare sempre e dico sempre con la forchetta. Alle volte un piatto di brodo le dura una settimana, come se lo consumasse all’aperto sotto la pioggia.
C’è chi lo vuole con carriole di formaggio, chi rigorosamente senza.
Per me è semplice: primo piatto con formaggio filante e secondo senza, il vino con il filo non mi piace.
Poi arriva lei, la regina del cortile, la povera gallina.
Ultimamente ho sviluppato una mia opinione, data da anni di militanza femminista.
Mi spiace mangiare la gallina, amo gli animali, purtroppo però la gola è più forte, ma se nella pentola trovo un gallo, esulto come un lemure davanti ad un banchetto vegano.
Avete mai osservato un pollaio?
Quelle povere galline spelacchiate e ridotte male?
Ecco, è colpa dello stronzo del gallo che le violenta tutte indistintamente.
‘sto stronzo!
Gli farei vedere io.
Sarebbe un’ottima causa per organizzare una raccolta fondi telethon : “Salviamo la gallina, castrazione chimica per il gallo!”.
Comunque, tornado a piè pari alla nostra cena, alla seconda portata per la precisione, senza farlo apposta, ognuno ha la sua preferenza e queste non potevano essere più perfette, nemmeno se fossero state studiate a tavolino.
Mia madre deposita il vassoio fumante con i vari pezzi e ognuno va alla ricerca del proprio tesoro.
Mio padre ha il piscù (la parte finale della schiena o culo che dir si voglia) e la testa, mia madre un’ala, io zampe e collo, le mie figlie si dividono ala e coscia.
Mio marito è più sul tirigno e mangia il petto, bianco e stopposo, mia sorella invece si tuffa su fegato, cuore e uova non ancora “uscite”, anche a se ho notato che questa predilezione si sta spargendo anche ad altri membri, tanto che si è reso necessario per gustare il pezzettino prescelto, alzarsi da tavola e prenotarlo prima ancora che arrivi in scena.
Quando qualcosa va storto, un pezzo mancante, o una gallina a metà, si resta sempre con un po’ di amaro in bocca, tipo quando mangi l’insalata di riso e pensi di mordere un quadratino di wurstel, invece è una carota.
Ovviamente qualunque ospite davanti a questo accordo si sentirebbe spaesato perché a lui resterebbe ben poco ed anche se un animale viene sacrificato per questo nostro banchetto, affronto il rituale come un predatore che ringrazia la sua vittima al momento di attaccare la giugulare.
E quando ti fermi a pensare e vedi che tutti i vari pezzettini del puzzle vanno al loro posto, capisci che ti trovi al posto giusto e nel momento giusto.
Nella mia famiglia la gallina in brodo è un must have che preclude a giornate di inverno, raffreddori, cene affettuose, madonne perché ci si scotta la bocca o sacramenti perché si sporca la tovaglia.
In gergo più international, si può definire “confortable food”.
Quando siamo a cena dalla mia Cracco-mamma e questa ci sforna questo popò di pentola tegumentaria, con le dimensioni di un silos, abbiamo già la mente che pregusta il dorato liquido ambrosio e le dita che spolpano una tenera carne con l’eterno dilemma : “ma la pelle la mangio o no?”
Dunque, regola imparata dalla nonna: se il pollo è casalingo, si mangia tutto, se è da supermercato, no!
Questo rituale evoca un susseguirsi di azioni già scritte, già consolidate, un po’ come le donne in tanga che accompagnano i calendari delle ditte di gomme per moto.
Si inizia con il primo piatto di lasagne in brodo, uguale per tutti, seguito da un bis che cambia formazione in base ai commensali.
Per mio padre, mia madre e me il secondo piatto di lasagne diventa il “surbì”, ossia minestra con poco brodo e un mezzo bicchiere di vino versato sopra; ma pure il vino, come la gallina, deve essere rigorosamente nostrano.
Per le mie figlie è senza brodo, solo pasta.
Per mia sorella diventa più difficoltoso perché lei ha questa mania di mangiare sempre e dico sempre con la forchetta. Alle volte un piatto di brodo le dura una settimana, come se lo consumasse all’aperto sotto la pioggia.
C’è chi lo vuole con carriole di formaggio, chi rigorosamente senza.
Per me è semplice: primo piatto con formaggio filante e secondo senza, il vino con il filo non mi piace.
Poi arriva lei, la regina del cortile, la povera gallina.
Ultimamente ho sviluppato una mia opinione, data da anni di militanza femminista.
Mi spiace mangiare la gallina, amo gli animali, purtroppo però la gola è più forte, ma se nella pentola trovo un gallo, esulto come un lemure davanti ad un banchetto vegano.
Avete mai osservato un pollaio?
Quelle povere galline spelacchiate e ridotte male?
Ecco, è colpa dello stronzo del gallo che le violenta tutte indistintamente.
‘sto stronzo!
Gli farei vedere io.
Sarebbe un’ottima causa per organizzare una raccolta fondi telethon : “Salviamo la gallina, castrazione chimica per il gallo!”.
Comunque, tornado a piè pari alla nostra cena, alla seconda portata per la precisione, senza farlo apposta, ognuno ha la sua preferenza e queste non potevano essere più perfette, nemmeno se fossero state studiate a tavolino.
Mia madre deposita il vassoio fumante con i vari pezzi e ognuno va alla ricerca del proprio tesoro.
Mio padre ha il piscù (la parte finale della schiena o culo che dir si voglia) e la testa, mia madre un’ala, io zampe e collo, le mie figlie si dividono ala e coscia.
Mio marito è più sul tirigno e mangia il petto, bianco e stopposo, mia sorella invece si tuffa su fegato, cuore e uova non ancora “uscite”, anche a se ho notato che questa predilezione si sta spargendo anche ad altri membri, tanto che si è reso necessario per gustare il pezzettino prescelto, alzarsi da tavola e prenotarlo prima ancora che arrivi in scena.
Quando qualcosa va storto, un pezzo mancante, o una gallina a metà, si resta sempre con un po’ di amaro in bocca, tipo quando mangi l’insalata di riso e pensi di mordere un quadratino di wurstel, invece è una carota.
Ovviamente qualunque ospite davanti a questo accordo si sentirebbe spaesato perché a lui resterebbe ben poco ed anche se un animale viene sacrificato per questo nostro banchetto, affronto il rituale come un predatore che ringrazia la sua vittima al momento di attaccare la giugulare.
E quando ti fermi a pensare e vedi che tutti i vari pezzettini del puzzle vanno al loro posto, capisci che ti trovi al posto giusto e nel momento giusto.
I 5 Tibetani
Io sono il cimitero dei buoni propositi, li secco tutti a distanza anche di poche ore.
Diciamo che la costanza sta a me come la pelle vellutata alle tartarughe ninja.L'ultimo in ordine cronologico si può chiamare "I cinque tibetani".
In poche parole esistono questi 5 semplici esercizi che se ripetuti diverse volte al giorno, promettono di farti guarire da ogni cosa e si inverte il processo di invecchiamento, tanto che si diventa dei novelli casi di Benjamin Button, ritrovandosi a 80 anni, con fisico e mente di un trentenne.
Ho letto il libro, mi sono lasciata convincere!
Mi sono detta, ok, risolviamo il problema dei capelli bianchi, dell'herpes, dei cuscinetti, della casa in disordine, dei pochi soldi in banca, della perdita dei peli dai miei cani, ecc...
Mi sono preparata un bel foglio riassuntivo e schematizzato, da consultare e studiare al momento; ho fatto ricerche approfondite in merito, ho preparato un angolo della casa dove poter eseguire il miracolo, con tappeto in tessuto naturale, candele profumate, oro, incenso e birra, ho messo la luce soffusa e mi sono detta: "Vai, pampurumpirum parimpampù, pimpuru pampurù, parimpampù"
Mi sentivo troppo Creamy, la famosa cantante manga dei miei anni '80...
Il primo sembra essere il più versatile, quello che già da solo può non dico farti passare le emorroidi, ma ti fa cadere sicuramente quel punto nero fastidioso che abbiamo nell'orecchio e se eseguito in modo un po' veloce, toglie anche la polvere dai comodini.

In piedi, braccia aperte, si inizia a girare su se stessi, da sinistra a destra.
Metto musica tantra in sottofondo, mi sistemo, schiarisco la voce, faccio un bel respiro e inizio a volteggiare come fossi una farfalla.
E uno, e due e tre e quatttro...arrivo a nove.
La sensazione mentre giro è davvero strana ma piacevole, fino a quando...mortacci loro e i tibetani...ci si ferma.
Sono stata assalita da una nausea incredibile, la testa sembrava quella di Doreamon con l'elica in testa; mi sono catapultata sul letto, aspettando che tutto passasse.
Mi sono alzata, ho spento la candela, ho riposto il tappeto in fibra naturale, ho bevuto la birra e ho deciso di lasciare i tibetani fuori da casa mia: mi tengo polvere e capelli bianchi, al massimo chiedo alle mie due amiche Moldave di passare per la polvere.
giovedì 21 settembre 2017
Il mio dottore
Ieri, 20 settembre 2017, abbiamo dato l’ultimo saluto al nostro dottore, quello dell’infanzia, quando non c’erano specialisti, pediatri (anche se lui già lo era), allergologi o escapologi.
Si andava da lui per tutto.
È stato il dottore dei miei nonni, dei miei genitori ed il mio.
Mio padre racconta sempre un episodio.
Lui giovincello e nel pieno delle forze, dopo una qualche vittoria della locale squadra calcistica, era andato a festeggiare insieme ai compagni e nella combriccola c'era anche il dottore.
Una volta rientrato a casa è stato male da quanto aveva bevuto.
Parliamo di uomo quindi con i sintomi un po’ ingigantiti.
Presumo non abbia invocato la madre per le ultime volontà primo perché non aveva il telefono e secondo perché lei era già al suo fianco.
Sua mamma, mia nonna, un po’ in ansia, chiama il dottore perché
“Il mio Tonino non sta bene, è pallido ed è a letto che non riesce ad alzarsi”.
Vi ricordo che al tempo non c’era google da consultare, purtroppo!
Nel mentre che il dottore raggiunge la casa, mia nonna prepara una bevanda calda da somministrare al figlio, come da convenzione sociale che ancora oggi ci trasciniamo.
Sei triste?
Ti faccio un the
Hai mal di pancia?
Ti faccio un the
Hai la febbre?
Ti faccio un the
Hai problemi d’amore?
Ti faccio un the…
E no, lì ci vuole cioccolato, a chili!!
Il dottore arriva, osserva il paziente, afferra la tazza e trangugia senza pensarci la tisana che mia nonna aveva appoggiato sul comodino per il figlio e soddisfatto con fare professionale comunica: “Ha bevuto, è solo ubriaco” e se ne ritorna alla festa.
Mi ricordo che quando si era a scuola, si partiva tutti in fila indiana, due a due e mano nella mano, con la maestra in testa e si andava nel suo ambulatorio per le vaccinazioni.
Al nostro arrivo però non c'era uno stuolo di mamme in protesta con striscioni NO vax o SI vax ad accoglierci.
Noi venivamo tutti allineati a chiappe scoperte e trik trak il dottore ci bucava tutti, uno per uno in sequenza.
Ho sempre odiato gli aghi e una volta per iniettare tutta la siringa la maestra ha dovuto immobilizzarmi perché il buon dottore per ben due volte lanciava la siringa e io allontanavo la chiappa.
Una cosa però mi è sempre rimasta stampata in mente, come un ricordo indelebile.
Ogni tanto penso a come mai alcune cose restino lì abbarbicate al cervello e sporadicamente balzino fuori così chiare e limpide che ti sembra di riviverle nello stesso preciso momento; cose anche di scarsa importanza, ma che non si fa la minima fatica a ricordare.
Era una normale sera ed io ero a tavola con i miei genitori, in quelle serate che ricordi sempre silenziose. Facevo la cretina con la sedia…e cosa mai avrei potuto fare…e mi dondolavo sulle gambe posteriori stando attaccata con le braccia al tavolo.
Ste infami di gambe si sono andate ad incastrare nelle fughe del pavimento e io sono caduta all’indietro.
Oltre il danno la beffa: alle spalle avevo la stufa e mi sono sbragata un po’ la testa. Qui non ricordo bene l’entità, ma credo che ai giorni nostri saremmo corsi al pronto soccorso con un eliambulanza e come minimo avrei fatto un’antitetanica, punti di sutura e i miei sarebbero stati convocati dagli assistenti sociali per incuria di minori.
Nei primi anni ’80 invece la procedura era diversa.
Dopo aver preso una sequenza di insulti da mia mamma e mio padre aver verificato l’entità del danno che avevo procurato alla stufa, perché si sa, la testa si ripara ma la stufa no, siamo andati a casa del Dottore, nonostante l’ora.
Ricordo che nell’ambulatorio mi ha pulito il taglio, messo un cerotto e raccomandato con il suo vocione: “Da domani tieni al caldo la testa con una cuffia”.
Mi sentivo ridicola con la cuffia di lana in testa il giorno dopo quando ero a scuola, avrei preferito mostrare fieramente la mia ferita, ma il Dottore aveva parlato.
Ieri durante la funzione mi sono guardata in giro e mi sono ritrovata bambina.
Facevo parte della generazione che “Fino alla cresima si va a messa tutte le domeniche!!”, quindi di tempo tra le mura della chiesa ne ho passato parecchio.
In chiesa mi sentivo come se indugiassi in un dormiveglia, cullata dalla consapevolezza del calore del letto. Una tregua prima di ritornare a vivere.
Contavo gli archi, le decorazioni, le pecore disegnate sul soffitto, il numero di panche e tutto quello che era possibile per ingannare il tempo dell’omelia, ma soprattutto combinavo guai con la cera.
Perché ancora non c’era la 626, in seguito 81, legge sulla sicurezza e le candele ce le avevamo di cera vera e facevano vero fuoco.
Si accendevano, si spegnevano, ci ricoprivamo i polpastrelli di cera, si modellavano, fino a quando Don Vittorio non ci sgridava e per un buon quarto d’ora si rimaneva composti e affranti.
Ora il tutto è stato sostituito da un marchingegno più tecnologico dove infili la finta candela, premi un pulsante e si accende il finto fuoco.
Addirittura nella teca dietro non c’è più la statua, ma un pompiere che in pianta stabile dimora lì dentro, dovesse crearsi un cortocircuito, ma è travestito da San Giorgio (sapete quello che ha sconfitto il drago?) così da passare inosservato.
mercoledì 13 settembre 2017
La serata perfetta
Sabato è stata la serata perfetta, quella che quando ormai vecchia e con la dentiera, racconterò alle mie coetanee, rollando una canna e gustando un tè. Perché una volta che ho cresciuto le figlie, aiutato con i nipoti e pagato qualche debito, vorrei lasciare questo mondo ridendo a crepapelle.
Il pomeriggio ero impegnata in una festa come truccabimbi e per la cena mio marito aveva chiesto pizza, ma non una qualunque, aveva espresso chiaramente la sua preferenza:
"Amò, me fai la tua pizza?".
Fortunatamente la figlia piccola mi ha aiutata, così mentre io lavoravo lei ha preparato l'impasto e l'ha messo a lievitare.
Torno a casa sotto la pioggia, il cielo è minaccioso e scuro, l'aria fresca e umida e noi facciamo la pizza. Il quadro è commovente.
Dovete sapere che al Fra non piace ungersi le mani con oli, creme o lozioni, ma io mi diverto molto quando lui si lamenta, così ho trovato le giuste scuse:
"Fra, sono un po' stanca..."
"Fra, la Sole non lo può fare perché ha le mani troppo calde"
E Noemi?
"Non pervenuta"
"No Fra, i cani lascerebbero quel pelo fastidioso che poi si aggrappa in gola"
Fatto sta che ha dovuto desistere e accettare l'ingrato compito : si mette in postazione davanti alla teglia con piedi divaricati e ben distanti, spalle tese, braccia a 90°, irrigidisce le mani e i polsi, tira i nervi del collo e...a guardarlo bene sembrerebbe in uno di quei gabbiotti del tiro a segno, pronto per sparare, invece si sta solo preparando a stendere una pizza e manifesta più volte il suo disprezzo per l'olio.
Inizia a picchiettare solo i polpastrelli sulla pasta, forse crede di suonare un piano molliccio e lo fa con un ritmo convulsivo e costante.
Notavo che la scena necessitava di un imprevisto per movimentarla un po' così gli dico che deve usare tutta la mano e per far quello deve ungersi ben bene anche in mezzo alle dita. Lo vedo irrigidirsi ancora di più, ma piano piano inizia a cedere all'ebrezza. Tra una presa per il culo e un insulto giungiamo al termine della missione e riusciamo finalmente ad infornare le pizze.
La prima è quelle del papà, non per una qualche forma di arcaico rispetto e reverenza ancestrale, ma soltanto perché lui con la scusa di assaggiare, mangerebbe mezza pizza di ogni commensale. Così, visto la potenza dei forni casalinghi, mentre lui è al caffè, noi donne stiamo soffiando ancora sulla nostra cena.
Le figlie finiscono di mangiare e si mettono sul divano, pronte per guardarsi un film.
La scena è quasi commovente:
Noemi sul lato sinistro e con il cellulare in mano, ogni tanto lancia uno sguardo agghiacciante al film, tanto che se io fossi stata l'attrice avrei messo un golfino; si lamenta del rumore che facciamo e spara commenti negativi verso la pellicola.
Mariasole sul lato destro e con il cellulare in mano, ogni tanto lancia uno sguardo distratto al film, tanto che se io fossi stata l'attrice avrei fermato e fatto un fischio di richiamo; si lamenta del rumore che facciamo e spara insulti verso la sorella.
Contemporaneamente mio marito ed io finiamo di sparecchiare, riordinare, chiudere casa, fumare una sigaretta e quando faccio per accomodarmi sul divano, chiedo ad entrambe di spegnere il telefono.
Tempo 5 minuti e iniziano:
"Mamma, domani mattina alle 8.00 vado a cavallo, se piove mi dovete accompagnare, se nevica, chiamo il nonno con le chiodate, poi mi dovete venire a prendere e ricordate che devo comprare paraglomi, la martingala profilata, il frontalino silver plate, la cavezza techno gold, stinchiere e paranocche."
Poi attacca l'altra: "bhe scusate, allora anche a me servirebbero le Freeflow Pullbuoy, le pinne powerfin, la kickboard, la flex paddles e un costume da gara"
Qui interviene il padre:
" Ragazzì!! Drogarvi come tutti gli altri giovani no eh!?!?"
La grande lo insulta, si alza, ci bacia e se ne va nella sua camera; la piccola finisce il film, insulta il regista per il finale e si va a lavare.
Questa è vita pura.
Ci soffermiamo ancora un po' sul divano, per quella che per noi è una coccola: lo stare coricati in pace, anche solo per mezz'ora. E non importa se nel frattempo io inizio a russare, lui a cambiare canale con una ripresa da 0 a 100 da far invidia all'ultimo modello di Ferrari e la cagnona coricata ai nostri piedi che lancia peti da impestare tutta l'aria.
Alla fine, mano nella mano ci appropinquiamo alla nostra alcova, io tiro da una parte perché devo fare pipì, lui tira dall'altra perché vuole bere un bicchiere d'acqua, così onde evitare litigi per la dominanza ci separiamo.
Coricati a letto lui mi abbraccia da dietro, ma giusto per 30 secondi perché poi dice che gli si addormenta il braccio e mi sussurra all'orecchio, solo dopo aver sputacchiato da parte i miei capelli che gli andavano in bocca: "Amo, er nutrizionista m'ha detto che dovresti cucinarmi gli hamburger de ceci, so un concentrato de proteine".
Vita pura.
Il pomeriggio ero impegnata in una festa come truccabimbi e per la cena mio marito aveva chiesto pizza, ma non una qualunque, aveva espresso chiaramente la sua preferenza:
"Amò, me fai la tua pizza?".
Fortunatamente la figlia piccola mi ha aiutata, così mentre io lavoravo lei ha preparato l'impasto e l'ha messo a lievitare.
Torno a casa sotto la pioggia, il cielo è minaccioso e scuro, l'aria fresca e umida e noi facciamo la pizza. Il quadro è commovente.
Dovete sapere che al Fra non piace ungersi le mani con oli, creme o lozioni, ma io mi diverto molto quando lui si lamenta, così ho trovato le giuste scuse:
"Fra, sono un po' stanca..."
"Fra, la Sole non lo può fare perché ha le mani troppo calde"
E Noemi?
"Non pervenuta"
"No Fra, i cani lascerebbero quel pelo fastidioso che poi si aggrappa in gola"
Fatto sta che ha dovuto desistere e accettare l'ingrato compito : si mette in postazione davanti alla teglia con piedi divaricati e ben distanti, spalle tese, braccia a 90°, irrigidisce le mani e i polsi, tira i nervi del collo e...a guardarlo bene sembrerebbe in uno di quei gabbiotti del tiro a segno, pronto per sparare, invece si sta solo preparando a stendere una pizza e manifesta più volte il suo disprezzo per l'olio.
Inizia a picchiettare solo i polpastrelli sulla pasta, forse crede di suonare un piano molliccio e lo fa con un ritmo convulsivo e costante.
Notavo che la scena necessitava di un imprevisto per movimentarla un po' così gli dico che deve usare tutta la mano e per far quello deve ungersi ben bene anche in mezzo alle dita. Lo vedo irrigidirsi ancora di più, ma piano piano inizia a cedere all'ebrezza. Tra una presa per il culo e un insulto giungiamo al termine della missione e riusciamo finalmente ad infornare le pizze.
La prima è quelle del papà, non per una qualche forma di arcaico rispetto e reverenza ancestrale, ma soltanto perché lui con la scusa di assaggiare, mangerebbe mezza pizza di ogni commensale. Così, visto la potenza dei forni casalinghi, mentre lui è al caffè, noi donne stiamo soffiando ancora sulla nostra cena.
Le figlie finiscono di mangiare e si mettono sul divano, pronte per guardarsi un film.
La scena è quasi commovente:
Noemi sul lato sinistro e con il cellulare in mano, ogni tanto lancia uno sguardo agghiacciante al film, tanto che se io fossi stata l'attrice avrei messo un golfino; si lamenta del rumore che facciamo e spara commenti negativi verso la pellicola.
Mariasole sul lato destro e con il cellulare in mano, ogni tanto lancia uno sguardo distratto al film, tanto che se io fossi stata l'attrice avrei fermato e fatto un fischio di richiamo; si lamenta del rumore che facciamo e spara insulti verso la sorella.
Contemporaneamente mio marito ed io finiamo di sparecchiare, riordinare, chiudere casa, fumare una sigaretta e quando faccio per accomodarmi sul divano, chiedo ad entrambe di spegnere il telefono.
Tempo 5 minuti e iniziano:
"Mamma, domani mattina alle 8.00 vado a cavallo, se piove mi dovete accompagnare, se nevica, chiamo il nonno con le chiodate, poi mi dovete venire a prendere e ricordate che devo comprare paraglomi, la martingala profilata, il frontalino silver plate, la cavezza techno gold, stinchiere e paranocche."
Poi attacca l'altra: "bhe scusate, allora anche a me servirebbero le Freeflow Pullbuoy, le pinne powerfin, la kickboard, la flex paddles e un costume da gara"
Qui interviene il padre:
" Ragazzì!! Drogarvi come tutti gli altri giovani no eh!?!?"
La grande lo insulta, si alza, ci bacia e se ne va nella sua camera; la piccola finisce il film, insulta il regista per il finale e si va a lavare.
Questa è vita pura.
Ci soffermiamo ancora un po' sul divano, per quella che per noi è una coccola: lo stare coricati in pace, anche solo per mezz'ora. E non importa se nel frattempo io inizio a russare, lui a cambiare canale con una ripresa da 0 a 100 da far invidia all'ultimo modello di Ferrari e la cagnona coricata ai nostri piedi che lancia peti da impestare tutta l'aria.
Alla fine, mano nella mano ci appropinquiamo alla nostra alcova, io tiro da una parte perché devo fare pipì, lui tira dall'altra perché vuole bere un bicchiere d'acqua, così onde evitare litigi per la dominanza ci separiamo.
Coricati a letto lui mi abbraccia da dietro, ma giusto per 30 secondi perché poi dice che gli si addormenta il braccio e mi sussurra all'orecchio, solo dopo aver sputacchiato da parte i miei capelli che gli andavano in bocca: "Amo, er nutrizionista m'ha detto che dovresti cucinarmi gli hamburger de ceci, so un concentrato de proteine".
Vita pura.
martedì 12 settembre 2017
10 Regole per infilare il piumino nel sacco.
COME INFILARE IL PIUMINO NEL SACCO,10 REGOLE:
1) Passare la settimana precedente a visionare i video su youtube che spiegano in modo semplice e chiaro la veloce pratica e per sicurezza leggere “La guida della perfetta casalinga” e appuntare a margine le informazioni più utili. Al momento sistemare il sacco sul letto matrimoniale, stendendo bene ogni piega e tirando perfettamente gli angoli all’esterno. Aprire bene la parte finale per agevolare l’entrata del piumino.
2) Chiedere in prestito una scala da un muratore per raggiungere le zone alte dell’armadio e prendere il piumino riposto nel sacco di plastica, diligentemente protetto per superare incolume la stagione estiva. Appuntarsi di togliere la polvere alla prima occasione e prendere un antistaminico.
3) Fasciare in modo stretto la caviglia dopo il volo da due metri fatto mancando un gradino della suddetta scala e passare uno straccio sulla scia di sangue che avete lasciato. Nel frattempo chiamare il dottore e chiedere se per un taglio di 3 cm servono i punti o basta disinfettare bene.
4) Visto che ci sono soltanto “due donne al mondo che riescono a guardarsi negli occhi, pensando che l’altra sia la più bella del mondo: una mamma e una figlia”, chiedere aiuto ad una delle tue e se non bastasse lo sguardo dolce, obbligarla a salire al tuo posto minacciandola verbalmente. Raccogliere i cocci del lampadario che la suddetta figlia ha accidentalmente disintegrato scagliandogli contro il piumino per dimostrare la sua contrarietà allo svolgimento del compito e mandare un messaggio al marito ricordandogli di comprare una nuova lampadina.
5) Lanciare improperi alla figlia prescelta visto che appena scesa dalla scala si è rintanata in camera davanti al computer e per assicurarsi di non essere disturbata ha sprangato la porta della camera dall’interno con chiodi e filo spinato. Contemporaneamente rispondere al citofono perché la Digos è venuta ad informarsi come mai da uno dei nostri terminali si è scaricato “10 modi di costruire una bomba”… “NOEMIIIIII!!!!” (ricordarsi di cercare un avvocato).
6) Togliere il gatto del vicino che durante il trambusto si è andato a rintanare dentro al sacco posto sul letto; chiamare un carpentiere per aggiustare la zanzariera che ha scardinato per entrare e medicare il graffio sul naso del cane.
7) Visto la sudata, alleggerire il vestiario e indossare la cuffia di plastica che si usa in doccia per non rovinare la piega fatta ieri.
8) Iniziare ad arrotolare il piumino e cercare di srotolarlo all’interno del sacco. Cambiare scarpe perché il girare intorno al letto vi ha fatto venire le piaghe ai piedi. Afferrare con una mano un angolo, con l’altra il secondo, con la bocca il terzo e con le chiappe del sedere ben tese il quarto.
9) Chiamare il marito per chiedere se nella polizza assicurativa della casa è previsto il rimborso per l’operazione necessaria per ricucire l’incisivo che nel tirare è rimasto incastrato alla cucitura del sacco.
10) Usare “La guida della perfetta casalinga” per accendere il camino, scrivere alla Bassetti, pretendere la clausola Soddisfatti o rimborsati ed andare ad acquistare una trapunta.
venerdì 8 settembre 2017
Violenza
"I kill you"
Frase che lacera l’orecchio.
Appiccicose mani su pelle sudata; fracasso di urla e gemiti nel cervello e nel cuore.
Come ferro incandescente in mezzo alle gambe.
Siete ferri fatiscenti.
Urla strozzate, disgusto nella mente, pianti rotti in gola.
Una musica in lontananza, ubriaca.
Litania incessante e mormorata, tonfi sordi di calci e pugni; il puzzo ferisce il naso e il mare lambisce i piedi.
Corpi immondi oscillanti davanti agli occhi, come in un incubo, incapace di urlare e correre.
Suono di sbattere di denti e suppliche.
Carnaio macilento di grumi umani.
Negli occhi lacrime, sabbia e stelle.
Si tratta di allungare l’esistenza, di aggrapparsi a quel cielo nero,
urlare a quella luna sanguinante sopra di te e sperare di non morire.
"I kill you"
Respirare abbastanza per non soffocare
Respirare abbastanza per non pensare
Respirare per resistere e non affogare.
Aria lurida, pregna di fetore; liquame dal vostro corpo
"I Kill you"
Vomito di sabbia e acqua salata, il sale brucia le ferite.
Le mani annaspano, graffiano e pregano.
Il cuore squarciato rimbomba dentro al petto; il battito strappa le vene del collo.
Siete liquame e carcasse.
Tenebre
Nulla
Domani un bambino giocherà su questa sabbia
E costruirà un castello di fiabe sul mio orrore.
Non dimenticare.
Impossibile dimenticare
You didn’t kill me
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