Nella mia famiglia la gallina in brodo è un must have che preclude a giornate di inverno, raffreddori, cene affettuose, madonne perché ci si scotta la bocca o sacramenti perché si sporca la tovaglia.
In gergo più international, si può definire “confortable food”.
Quando siamo a cena dalla mia Cracco-mamma e questa ci sforna questo popò di pentola tegumentaria, con le dimensioni di un silos, abbiamo già la mente che pregusta il dorato liquido ambrosio e le dita che spolpano una tenera carne con l’eterno dilemma : “ma la pelle la mangio o no?”
Dunque, regola imparata dalla nonna: se il pollo è casalingo, si mangia tutto, se è da supermercato, no!
Questo rituale evoca un susseguirsi di azioni già scritte, già consolidate, un po’ come le donne in tanga che accompagnano i calendari delle ditte di gomme per moto.
Si inizia con il primo piatto di lasagne in brodo, uguale per tutti, seguito da un bis che cambia formazione in base ai commensali.
Per mio padre, mia madre e me il secondo piatto di lasagne diventa il “surbì”, ossia minestra con poco brodo e un mezzo bicchiere di vino versato sopra; ma pure il vino, come la gallina, deve essere rigorosamente nostrano.
Per le mie figlie è senza brodo, solo pasta.
Per mia sorella diventa più difficoltoso perché lei ha questa mania di mangiare sempre e dico sempre con la forchetta. Alle volte un piatto di brodo le dura una settimana, come se lo consumasse all’aperto sotto la pioggia.
C’è chi lo vuole con carriole di formaggio, chi rigorosamente senza.
Per me è semplice: primo piatto con formaggio filante e secondo senza, il vino con il filo non mi piace.
Poi arriva lei, la regina del cortile, la povera gallina.
Ultimamente ho sviluppato una mia opinione, data da anni di militanza femminista.
Mi spiace mangiare la gallina, amo gli animali, purtroppo però la gola è più forte, ma se nella pentola trovo un gallo, esulto come un lemure davanti ad un banchetto vegano.
Avete mai osservato un pollaio?
Quelle povere galline spelacchiate e ridotte male?
Ecco, è colpa dello stronzo del gallo che le violenta tutte indistintamente.
‘sto stronzo!
Gli farei vedere io.
Sarebbe un’ottima causa per organizzare una raccolta fondi telethon : “Salviamo la gallina, castrazione chimica per il gallo!”.
Comunque, tornado a piè pari alla nostra cena, alla seconda portata per la precisione, senza farlo apposta, ognuno ha la sua preferenza e queste non potevano essere più perfette, nemmeno se fossero state studiate a tavolino.
Mia madre deposita il vassoio fumante con i vari pezzi e ognuno va alla ricerca del proprio tesoro.
Mio padre ha il piscù (la parte finale della schiena o culo che dir si voglia) e la testa, mia madre un’ala, io zampe e collo, le mie figlie si dividono ala e coscia.
Mio marito è più sul tirigno e mangia il petto, bianco e stopposo, mia sorella invece si tuffa su fegato, cuore e uova non ancora “uscite”, anche a se ho notato che questa predilezione si sta spargendo anche ad altri membri, tanto che si è reso necessario per gustare il pezzettino prescelto, alzarsi da tavola e prenotarlo prima ancora che arrivi in scena.
Quando qualcosa va storto, un pezzo mancante, o una gallina a metà, si resta sempre con un po’ di amaro in bocca, tipo quando mangi l’insalata di riso e pensi di mordere un quadratino di wurstel, invece è una carota.
Ovviamente qualunque ospite davanti a questo accordo si sentirebbe spaesato perché a lui resterebbe ben poco ed anche se un animale viene sacrificato per questo nostro banchetto, affronto il rituale come un predatore che ringrazia la sua vittima al momento di attaccare la giugulare.
E quando ti fermi a pensare e vedi che tutti i vari pezzettini del puzzle vanno al loro posto, capisci che ti trovi al posto giusto e nel momento giusto.